Il Museo Etnografico dell’Alta Valle Seriana (MEtA) si articola in tre sezioni espositive, ispirate alla storia della valle, vista attraverso la gente e le attività che in tanti secoli hanno plasmato le comunità locali.
Il complesso si trova in Piazza Monte Grappa, ad Ardesio. Qui si può approfondire la storia e la vita del passato, in un percorso ricco di interessanti testimonianze.
All’ingresso, una sala introduce al percorso del museo, avvicinando il visitatore alla conoscenza del territorio di Ardesio e dell’Alta Valle Seriana, anche attraverso un plastico morfologico.
Sono tre le sezioni in cui si articola il museo:
Filatura, tessitura
Vecchi telai, filatoi, arcolai e altri antichi attrezzi raccontano la storia delle donne che, tra le mura domestiche, filavano e tessevano il lino, la canapa e la lana. A loro e a questo tipico lavoro d’altri tempi, che è stato un elemento indispensabile dell’economia valligiana, è dedicata la prima sezione del museo.
Boscaioli e carbonai
Qui si possono vedere gli attrezzi tipici del lavoro dei boschi, con un pezzo unico, la “màchina dè pörgà la rasa”; in una sezione fotografica sono ritratti i volti di uomini ardesiani che hanno praticato l’importante lavoro del taglio della legna d’opera, da ardere o da far da carbone.
Miniere e minatori
Questa sezione è senza dubbio il fiore all’occhiello del museo. Qui, infatti, vi è una raccolta tra le più ricche di attrezzi, macchinari e documenti che testimoniano l’antico lavoro minerario, molto importante in queste zone. Un’attività estrattiva che ha segnato la storia della Valle. È presente la raccolta di mappe del distretto minerario dell’Alta Val Seriana, archivio di stato.
Inoltre, nel recente riallestimento, è stata curata particolarmente la suggestione della miniera. Si può provare l’emozione di entrare in un corridoio buio, illuminato soltanto da luci deboli, che ricordano le fiammelle delle centilene. Si può provare ad immaginare la dura fatica degli uomini impegnati nel lavoro del minatore; delle taissine, abili cernitrici del minerale, e persino dei “galècc”, i bambini.
La casa rurale
A pochi minuti dal museo, in direzione del centro del paese, vicino al Santuario, in una casa di impianto quattrocentesco vi sono ambientazioni di vita domestica, artigianato e agricoltura montana. La casa rurale tipica, come questa, era costruita con materiali del luogo, pietrame delle cave vicine e legname dei boschi circostanti. Al piano seminterrato si trovava la stalla. Dall’esterno ora è possibile vedere un portale medievale in pietra, mentre all’interno si nota la volta con la classica forma a “silter” e una tipica finestrella e inferriata. Dal piano della strada, con accesso direttamente da via Torquato Tasso, si entra nella cucina, il locale principale della casa dove si trova anche il camino, usato più per far da mangiare e lavorare il latte, che per riscaldare.
Il vano del camino è provvisto di tutti gli attrezzi di ferro necessari: la catena per appendere le pentole, il treppiede, la graticola, la paletta, la pinza. Sulla mensola del camino sono allineati i barattoli del sale, del pepe, dello zucchero, i fiammiferi e la pietra focaia, il mortaio, il lume e il bastone per la polenta.
A fianco del camino troviamo una mensola provvista di ganci di ferro dove sono appesi pentole, coperchi, secchi, ramine.
A lato è appesa alla parete anche la “scànsia”, dove ci sono le scodelle di legno e le altre stoviglie. Contro il muro, vi è una cassa divisa in due scomparti: uno per la farina di granoturco e uno per quella di frumento.
Vicino alla finestra è murato un lavandino in pietra sotto il quale venivano custoditi i secchi con l’acqua. Al centro della stanza c’è un tavolo con sedie impagliate e una panca completa l’arredamento. Attraverso una porta si entra nella camera dei genitori e dei bambini più piccoli. Questa stanza era arredata dal letto matrimoniale con il materasso di crine o di lana e da una cassapanca, per riporre la biancheria e i vestiti. La stanza dei ragazzi, invece, era arredata solo dal letto e dalla cassapanca e al posto del materasso c’era il “paiù de scarfòi”, cioè le foglie che avvolgevano le pannocchie di granoturco essiccate e raccolte in un sacco di tela, di lino o di canapa.